DEPRESSIONE, ANSIA e ATTACCO al SE’

La Depressione è un disordine dell’umore caratterizzato da infelicità o irritabilità prolungata, accompagnata da una costellazione di segni somatici e cognitivi e sintomi come la fatica, l’apatia, problemi del sonno, o perdita di appetito; bassa autostima e senso di svalutazione di sé: difficoltà nel concentrarsi o indecisione; pensieri ricorrenti di morte e di suicidio.

La depressione nell’infanzia e nell’adolescenza è simile al disordine depressivo maggiore negli adulti, anche se i giovani che ne sono colpiti possono mostrare una maggior irritabilità o disordine comportamentale anziché la tristezza, il vuoto e i sentimenti di disperazione che vediamo negli adulti.

I bambini che sono sotto stress, quando sperimentano una perdita, hanno attenzione, apprendimento, disordini comportamentali o ansiosi che hanno un alto rischio di depressione.

La depressione infantile ha spesso comorbilità con disordini mentali diversi dai disordini dell’umore; più comunemente con il disordine d’ansia e disordine di comportamento.

La depressione tende anche a scorrere nelle famiglie Nella revisione del 2016 Cochrane della terapia cognitiva, del comportamento (CBT), la terza onda CBT e la terapia interpersonale hanno dimostrato pochi vantaggi positivi nella prevenzione della depressione.

Gli psicologi hanno sviluppato diversi trattamenti per assistere bambini e adolescenti che soffrono di depressione, benché continui a essere controversa la legittimità della diagnosi infantile come disturbo psichiatrico, come pure l’efficacia dei vari metodi di valutazione, giudizio e trattamento .

La depressione forgia nel cervello una connessionetra umore depresso e pensieri negativi, cosiché anche una normale tristezza, può risvegliare pensieri molto negativi.

L’umore è fortemente influenzato dai pensieri , non sono necessariamente le nostre emozioni, ma le nostre credenze e le inteerpretazioni di tali eventi.gli eventi in sé a determinare le nostre emozioni, ma le nostre interpretazioni e credenze su tali eenti.

Quando siamo profondamente infelici o depressi, entra in gioco una valanga di sentimenti, pensieri, sensazioni fisiche e comportamenti: Lo sconvolgimento emozionale che può derivare dall’esperienza della perdita, della separazione, del rifiuto o da qualsiasi stravolgimento che generi un senso di umiliazione o sconfitta è normale. Le sensazioni imquietanti costituiscono una parte importante della vita. Segnalano a noi e agli altri che siamo angutiati, che nella nostra vita vita è accaduto qualcosa di sfavorevole Ma la tristezza può cedere il passo alla depressione quando si trasforma in pensieri e sentimenti negativi e impietosi.

Non dobbiamo abbandonare le attività che normalmente ci nutrono, come ritrovarci con gli amici o famigliari, che possono rappresentare un vero sostegno per noi.

Le parole della depressionne: tristezza, sconforto, avvilimento, abbattimento, morale basso, autocommiserazione. L’intensità di tali sentimenti può variare: per esempio la tristezza può andare da lieve entità a livello esremo.

E’ normale che le emozioni vadano e vengano, ma è raro che le sensazioni depressive siano isolate. Spesso si accorpano ad ansia e paura, rabbia, irritabilità e disperazione. Per alcuni, soprattutto nei giovani, l’irritabillità è una esperienza più marcata della tristezza.

I pensieri della persona depressa sono pervasi dal tema della mancanza di valore e dell’auotrimprovero.

Il problema non è l’infelicità in sé che è una componente inevitabile della vita A intrappolarci sono piutosto leopinioni severe e negative di noi stessi, che possono essere attivate da momenti di infelicità. Sono queste opinioni che trasformano una tristezza passeggeera in depressione e infelicità persistenti. Una volta che queste opinioni severe e negative su noi stessi sono attivate, esse non soltanto influenzano la nostra mente, ma sortisconoo anche effeettti negativi sul nostro corpo; e a sua volta il corpo ha effetti profondi sulkla mente e sulle emozioni.

FATTORI DI RISCHIO

Nell’infanzia, ragazzi e ragazze sembrano correre lo stesso rischio di disturbi depressivi; comunque durante l’adolescenza le ragazze hanno una probabilità doppia di sviluppare una depressione, c’è più pressione per le ragazze perché si adattino alla società obbediscano agli standard sociali per come una ragazza deve comportarsi, come deve comportarsi e qualora le ragazze non riescano a vivere secondo certi standard finiscono per non sentirsi bene nei propri confronti.

Prima dell’adolescenza i tassi di depressione sono gli stessi nei ragazzi e nelle ragazze, è solo fino all’età di 11-13 anni che cominciano a cambiare. Le ragazzine, intorno a questa età fisicamente vanno incontro a più cambiamenti dei ragazzi, poiché devono somigliare a una bambola barbie per essere considerata attraente il che porta un rischio più alto di squilibrio ormonale e di depressione. Si sa che le ragazze hanno le mestruazioni, cosa che i ragazzi non provano durante la pubertà.

Si sospetta che questa sia una causa per la maggior prevalenza di depressione nelle ragazze che non nei ragazzi, particolarmente durante la pubertà, in quanto gli ormoni possono scatenare la depressione.

La distanza di genere tra gli adolescenti uomini e donne è dovuta soprattutto al basso livello di pensiero positivo nelle ragazze, al bisogno di approvazione, a condizioni che portano le ragazza ad avere una opinione negativa di se stesse.

Essere esposti di frequente ad essere attaccati da bulli o vittimizzati è in relazione con un alto rischio di depressione, idee di suicidio e tentati suicidi, paragonati ai ragazzi non coinvolti nel bullismo.

Anche la dipendenza dalla nicotina è associata con la depressione, l’ansia, e una dieta povera, specialmente nei ragazzi.

E’ causa di preoccupazione il coinvolgimento dell’uso della droga e del sesso anche se non è stata stabilita una direzione che ne sia causa.

I bambini che sviluppano una depressione maggiore è più probabile che abbiano una storia familiare di questo disturbo (spesso un genitore che ha sperimentato la depressione in una età precoce) piuttosto che pazienti con depressione che si stabilisce nell’adolescenza o nell’età adulta.

Gli adolescenti con depressione hanno probabilmente una storia famigliare di depressione, anche se la correlazione non è tanto elevata quanto quella per i bambini.

COMORBILITA’

CAUSE SOCIALI –

Gli adolescenti sono impegnati nella ricerca dell’identità e nel significato delle loro vite. Sono stati anche considerati come un gruppo unico con una gamma di difficoltà e problemi nella loro transizione verso l’età adulta. Le pressioni scolastiche, le difficoltà interpersonali e personali, la morte di persone amate, le malattie e la perdita di relazioni si sono dimostrate come importanti fattori di stress nei giovani.

Mentre è una parte normale dello sviluppo nell’adolescenza provare spesso emozioni stressanti e bloccanti, c’è una globale incidenza di malattie mentali principalmente dovute a rotture nelle strutture sociali e famigliari tradizionali.

La depressione di solito è una risposta a eventi della vita come i problemi finanziari o di relazione, le malattie fisiche, le perdite.

Alcune persone possono diventare depresse senza nessuna ragione evidente e la loro sofferenza è reale quanto quella di coloro che reagiscono a fatti della vita. Anche il “make up” psicologico può avere un ruolo nella vulnerabilità nei confronti della depressione.

La gente che ha bassa autostima, che considera il mondo e se stessi con pessimismo, che sono facilmente sconvolti dallo stress, possono avere tendenza alla depressione.

Studi sulle comunità scoprono che le donne dicono di essere sotto stress più facilmente degli uomini.. Altri studi suggeriscono che è più probabile per le donne di avere depressione in risposta a un evento stressante.

E’ anche più probabile per le donne di provare gravi stress, come aggressioni adulte sessuali e violenza domestica.

ANSIA

L’ansia è un complesso di reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche, che si manifestano in seguito ala percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso e nei cui confronti non ci riteniamo sufficientemente capaci di agire.

Di per sé non è un fenomeno anormale. Si tratta di un’emozione di base, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo quando una situazione viene percepita soggettivamente pericolosa.

L’ANSIA è una emozione caratterizzata da uno stato sgradevole di subbuglio interiore, spesso accompagnato da un comportamento nervoso come camminare avanti e indietro, malesseri somatici e ruminazione. Comprende sentimenti spiacevoli soggettivi di paura di eventi anticipati.

L’ansia è un sentimento di disagio e preoccupazione di solito generalizzata e senza un punto focale come una iperreazione a una situazione che è vista come minacciosa solo soggettivamente.

Sintomi cognitivi dell’ansia:

senso di vuoto mentale; senso crescente di allarme e di pericolo; induzione di immagini, ricordi e pensieri negativi; messa in atto di comportamenti protettivi cognitivi; sensazione marcata di essere osservati e di essere al centro dell’attenzione alktrui.

Sintomi comportamentali dell’ansia: tendenza a esplorare l’ambiente, ricerca di spiegazioini, rassicurazioni e vie di fuga. Comportamenti protettivi: farsi accompagnare, atteggiamenti di sottomissione e non affermativi assumere ansiolitici

E’ spesso accompagnata da tensione muscolare, inquietezza , fatica e problemi di concentrazione. Lansia è strettamente legata alla paura. Che è una risposta a una minaccia immediatamente percepita o reale; l’ansia comporta l’attesa di una minaccia futura. La gente che si confronta con l’ansia può ritirarsi da situazioni che hanno provocato loro ansia in passato.

I disordini d’ansia sono diversi dalla paura normativa dello sviluppo o dall’ansia eccessiva o persistente al di là dei periodi di sviluppo appropriati. Queste sono diverse dall’ansia o paura transitoria, spesso indotta dallo stress, dall’essere persistente (p.es. che dura 6 mesi o più) benché il criterio di durata è inteso come una guida generale che permette alcuni gradi di flessibilità ed è a volte di durata più breve nei bambini.

L’ansia si distingue dalla paura che è una risposta cognitiva ed emotiva a una minaccia percepita. L’ansia è in relazione ai comportamenti specifici di risposte fight or flight, comportamento difensivo o di fuga, percepite come incontrollabili o inevitabili, anche se realisticamente non sono tali.

David Barlow definisce l’ansia come uno stato dell’umore orientato verso il futuro in cui uno non è pronto o preparato a tentare di far fronte a eventi negativi in arrivo. E ‘ una distinzione tra pericoli presenti e futuri che separa l’ansia dalla paura. Un’altra descrizione dell’ansia è tormento, paura, terrore e anche preoccupazione. Nella psicologia positiva, l’ansia viene descritta come lo stato mentale che risulta da una sfida difficile per la quale il soggetto non ha abbastanza capacità per far fronte.

Fattori di rischio:

-tratti temperamentali di timideza o inibizione del comportamento nella prima infanzia

2) esser stati esposti nell’infanzia o nell’età aulta a una vita stressante e negativa o a eventi ambientali negativi

3) Una storia di ansia o altre malattie mentali in parenti biologici.

4) condizioni fisiche, come problemi alla tiroide, aritmie cardiache, uso di medicine o sostanze, eccesso di caffeina

L’ansia, d’altra parte, agisce per un tempo lungo, è focalizzata sul futuro, è ampiamente focalizzata in direzione di una minaccia diffusa, promuove una cautela eccessiva quando ci si avvicina a una minaccia potenziale e interferisce con un atteggiamento di costruttivo, resistere o far fronte.

Joseph E.Le Doux e Lisa Feldman Barrett hanno cercato di separare le risposte di minaccia automatica dalla attività associata cognitiva addizionale all’interno dell’ansia.

ARTICOLI PRINCIPALI: l’Ansia dell’estraneo e l’Ansia social Gli esseri umani generalmente richiedono l’accettazione sociale e quindi a volte temono la disapprovazione degli altri. L’apprensione di venire giudicati dagli altri può causare ansia negli ambienti sociali.

L’ansia durante le interazioni sociali, particolarmente tra estranei, è comune tra i giovani. Può persistere nell’età adulta e diventare ansia sociale o fobia sociale. “L’ansia dell’estraneo nei bambini piccoli non è considerata una fobia. Negli adulti, la paura eccesiva degli altri non è uno stadio di sviluppo comune; è chiamata fobia sociale. Secondo Cutting chi soffre di fobia sociale non teme la folla ma il fatto di poter venire giudicati negativamente.

L’ansia sociale varia per gradi e gravità. Per alcuni è caratterizzata dal provare disagio o imbarazzo durante i contatti sociali fisici (es. baci, stringersi le mani) mentre in altri casi può portare alla paura di interagire complessivamente con gete estranea.

Quelli che soffrono di questa condizione possono reprimere il loro stile di vita per adattarsi all’ansia, minimizzando l’interazione sociale allorquando è possibile. La fobia sociale costituisce anche l’aspetto di nucleo di certi disordini di personalità, compreso il disordine di personalità evitante.

3)L’ansia di separazione: si pensa che si trovi soprattutto nei bambini, ma è presente anche in età adulta:questa ansia da separazione porta la paura di essere separati da persone verso le quali si prova attaccamento. Queste persone ctemono che qualche danno possa accadere alle persone da cu sono separate. Evitano quindi di separarsi ed evitano di rimanere sole.

ATTACCO AL SE’

e AUTOLESIONISMO

Con la definizione di attacchi al Sé corporeo si intendono le situazioni in cui la sofferenza psichica, divenuta insopportabile per la mente esonda fino a coinvolgere il corpo. Come un fiume che supera gli argini, in alcune fasi e situazioni della vita il dolore psichico può diventare incontenibile. Non solo incontrollabile ma nemmeno raccontabile o comprensibile.

Gli attacchi al Sé corporeo mostrano tutto ciò. Alla persona e chi ha intorno… quando la persona riesce a mostrarsi. O quando gli altri riescono a guardare e a parlarne. Spesso però queste situazioni restano nel silenzio e nell’ombra.

Gli attacchi al Sé corporeo possono presentarsi in forme differenti. Si tratta talvolta di autolesionismo: tagli, bruciature, escoriazioni, contusioni, ecc. Talvolta di ideazione suicidaria o di veri e propri tentativi di suicidio.

Vi sono poi i disturbi del comportamento alimentare tra gli esempi più visibili., come l’anoressia e la bulimia.

Ci sono anche forme più difficili da cogliere come i traumi o gli incidenti ripetuti: frequenti cadute o fratture, incidenti sportivi e incidenti stradali.

C’è anche tutto il ventaglio dei disturbi psicosomatici o dei disturbi d’ansia che possono sfociare nei purtroppo noti e paralizzanti attacchi di panico.

Per passare poi a forme altrettanto esplicite e che possono suscitare le reazioni più differenti quali sono gli abusi di sostanze stupefacenti o di alcol… fino al temuto coma etilico.

Questi quadri possono insorgere molto precocemente nella vita della persona oppure più in là negli anni in giovani adulti e adulti.

AUTOLESIONISMO EMOTIVO

Autolesionismo emotivo: :quante volte siamo bravi a ferire noi stessi?  Quante volte trascuriamo noi stessi per dare priorità agli altri?

Tutto questo sicuramente non ci fa bene, anzi: sono solo alcune delle modalità attraverso le quali pratichiamo dell’autolesionismo emotivo. In tanti associano al termine “autolesionismo” parole come lesioni fisiche, eppure c’è anche dell’altro.

Noi possiamo fare male a noi stessi in tanti altri modi. Le lesioni che possiamo procurarci possono essere anche emotive: sono quelle che non si vedono ma che ci sono e si fanno sentire, sono quelle che fanno male alla nostra anima e non al nostro corpo, sono delle “botte” che fanno male alla nostra autostima e feriscono la nostra dignità.

L’autolesionismo emotivo dunque cos’è?

Quell’insieme di pensieri e comportamenti che agiscono contro di noi e che possono essere alla base di disturbi dell’umore se praticati con costanza.

Lesioni emotive: come si presentano? In che modo possiamo farci del male?

Sicuramente dando retta a quella voce interiore che ci dice che non siamo abbastanza, quella voce che ci tortura e che ci convince del fatto che non siamo all’altezza dei nostri obiettivi, riempiendoci così di insicurezze.

Questo vuol dire che in un certo senso noi siamo vittime e carnefici allo stesso tempo: siamo noi stessi a farci del male, attraverso il nostro dialogo interiore negativo, le nostre idee, le paure che nutriamo, spesso insensate.

Ma perché possiamo arrivare a tanto?

Spesso, alla base di tutto c’è una bassa autostima con uno schema di comportamento che mettiamo in atto, causato da influenze ambientali, familiari, relazionali che hanno radici lontane.

Quando abbiamo una bassa autostima spesso ci ritroviamo con persone che ci fanno solo del male, partner che ci tolgono e non ci danno.

Quale è un altro modo per farci del male? Il non mettere dei limiti nel rapporto con gli altri.A volte mettersi troppo a disposizione degli altri può essere deleterio.

Non saper dire no nel momento opportuno può provocarci grandi lesioni emotive, soprattutto se abbiamo a che fare con persone che ne approfittano e non aspettano altro che usare gli altri per i propri scopi.

Anche condurre una vita grigia senza passioni e motivazioni è una forma di autolesionismo.

Insomma, la vita non è fatta solo di routine, abitudine, doveri. Non possiamo solo accontentare gli altri: la vita deve essere primariamente un piacere per noi stessi.

Per far sì che questo accada, sicuramente è necessario vivere con passione, avendo degli obiettivi da realizzare, facendo ciò che amiamo fare, dedicando tempo a noi stessi. Una vita senza questi ingredienti non è vita, non credete?

Una vita senza emozioni e senza allegria non può che provocare delle lesioni emotive che magari non si vedono ma ci sono e giorno per giorno non ci consentono di essere felici, di sognare.

Di far vedere davvero chi siamo.

Attraverso diverse modalità possiamo far male a noi stessi, alla nostra identità, alla nostra autostima. Questo accade soprattutto se abbiamo vissuto un’infanzia caratterizzata da traumi, esperienze negative che ci ha fatto maturare un’immagine negativa di noi.

Per quanto da adulti ci portiamo ferite lontane, nel nostra presente possiamo e dobbiamo prenderci cura di noi, della nostra anima e smettere di farci del male.

Le occasioni di felicità e l’acquisizione di nuove competenze sono normalmente affiancate da periodi di fermo o di crisi. In alcuni casi le crisi sono più profonde e si creano situazioni di vero e proprio stallo in cui la persona non riesce da sola a capire cosa le sta accadendo e a rimettere in moto il proprio percorso evolutivo. Anche le persone intorno possono trovarsi impantanate e disorientate. Spiazzamento e preoccupazione possono sfociare in disperazione o irritabilità.

I segni di una crisi evolutiva sono molteplici e possono coinvolgere una o più sfere della persona: pensiero, emozioni e corpo. Si parla ad esempio di… Difficoltà nell’apprendimento o di vere e proprie interruzioni del percorso di studi. Difficoltà relazionali e ritiro sociale o lavorativo. Disturbi d’ansia, attacchi di panico o disturbi di origine psicosomatica. Disordini nel rapporto con il cibo o veri e propri disturbi del comportamento alimentare come nel caso dei quadri conclamati di anoressia o bulimia. Uso e abuso di sostanze o alcool. Traumi frequenti o incidenti ripetuti… fino all’autolesionismo o all’ideazione suicidaria.

Tali quadri meritano e talvolta impongono una presa in carico fatta di una fase di Consultazione psicologica finalizzata all’analisi e alla comprensione di ciò che sta accadendo al ragazzo o al giovane adulto. In alcuni casi è utile o necessario che anche i genitori siano coinvolti per raccogliere tutti insieme gli elementi necessari a spiegare la situazione. Tale comprensione consentirà anche di capire in quale direzione è più indicato muoversi e la necessità di coinvolgere nella presa in carico altre figure quali ad esempio un medico nutrizionista, un neuropsichiatra o uno psichiatra, ecc.

che si trovano a lavorare in tali situazioni.

È autolesionista chi danneggia intenzionalmente da solo il proprio corpo. Questo comportamento si vede molto più spesso negli adolescenti ed è frequente in chi ha disturbi di personalità borderline, disturbi d’ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare.

Chi soffre di autolesionismo causa lividi e ferite (tagliandosi, bruciandosi, accoltellandosi) al proprio corpo senza arrivare ad uccidersi (non c’è intenzione suicidaria), mentre si ferisce spera di ottenere sollievo e di risolvere una propria difficoltà o sentimento negativo, spera di star bene dopo essersi ferito. Chi soffre di autolesionismo prova disagio, rabbia, ansia ed è depresso. Pensa a ferirsi continuamente, fino a perdere il controllo.

Per auto-danneggiamento intenzionale si comprende anche (auto-danno) l’abuso di sostanze, la sessualità promiscua, il gioco d’azzardo; (auto-avvelenamento) l’ingestione di sostanze tossiche, l’overdose di droghe; (condotte autolesive) il tagliarsi e il bruciarsi.

Esistono tre tipi di autolesionismo (Favazza, 1993):

  • nell’autolesionismo maggiore il gesto è isolato ma grave e permanente (castrazione, enucleazione oculare), il gesto lo si compie durante stati di psicosi o intossicazioni acute.
  • nell’autolesionismo stereotipico il gesto è ripetuto spesso e ritmicamente, non ha un significato simbolico (mordersi, battere la testa). L’autolesionismo stereotipico si associa a grave ritardo mentale, autismo e sindrome di Tourette.
  • nell’autolesionismo moderato o superficiale il danno è lieve (tagli, abrasioni, bruciature). Il gesto ha un significato simbolico/relazionale, si possono utilizzare strumenti (rasoi, lamette, forbici). Esistono tre forme principali per l’autolesionismo moderato o superficiale (Favazza, Simeon, 1995).

Esistono diversi livelli nell’autolesionismo:

  • Autolesionismo moderato compulsivo: è un comportamento di tutti i giorni (tricotillomania, onicofagia), non si riescono a controllare gli impulsi.
  • Autolesionismo moderato episodico: chi ne soffre cerca di riprendere controllo su pensieri ed emozioni intollerabili attraverso i gesti autolesivi.
  • Autolesionismo moderato ripetitivo: crea una dipendenza dal comportamento autolesivo, può diventare identitario (es. “sono un cutter”).

Chi si ferisce cerca trasformare in sofferenza fisica (più reale e facile da gestire) una sofferenza emozionale (interiore, che non si sa come gestire). La sofferenza fisica distoglie l’attenzione da quella interna e diventa una strategia disadattiva di coping. Oppure chi si ferisce lo fa per punirsi, o per comunicare agli altri il proprio disagio (la ferita è la materializzazione della sofferenza).

Anche se l’autolesionismo non ha come obiettivo il suicidio, le ricerche ci dicono che chi soffre di autolesionismo ha molte più probabilità di tentare un suicidio rispetto ad altre psicopatologie.

La terapia cognitivo-comportamentale è efficace per il disturbo autolesivo, aiuta a prevenire e ridurre i sintomi autolesivi, ad affrontare lo stress e i pensieri negativi, aiuta a sviluppare una serie di abilità e competenze per gestire le relazioni e la vita quotidiana, sviluppa la mindfulness, la regolazione emotiva, la tolleranza allo stress.

Cosa fare?

Esistono molti trattamenti per la cura dell’autolesionismo tra i quali la terapia cognitivo-comportamentale è risultata essere la più efficace. Inoltre, la farmacoterapia associata alla psicoterapia è consigliata per ridurre i livelli di sofferenza e di ansia e creano le condizioni per un intervento psicoterapeutico efficace.

Secondo studi recenti (Morris, C., Simpson, J., Sampson, M., Beesley, F., 2013), le persone che mettono in atto condotte autolesioniste mostrano una marcata difficoltà nella regolazione e nella sperimentazione delle emozioni positive e negative. I pazienti che mostrano questa difficoltà hanno una marcata disregolazione emotiva che si manifesta con repentini e marcati cambiamenti dell’umore.

: CONDOTTE AUTOLESIVE

Queste persone possono oscillare rapidamente, ad esempio, tra la serenità e la forte tristezza, tra la rabbia intensa e il senso di colpa. A volte emozioni contrastanti possono essere presenti contemporaneamente, tanto da creare un forte caos nel paziente ed anche nelle persone a lui vicine. Tali tempeste emotive si scatenano soprattutto in risposta ad eventi relazionali spiacevoli, come ad esempio, un rifiuto o una critica altrui: la reazione emotiva è immediata, marcata e duratura e per questo tipo di pazienti diventa molto difficile gestire le proprie emozioni.

RAPPORTI INTERPERSONALI

Tradizionalmente, i diversi approcci terapeutici, lavorano e hanno lavorato sulla disregolazione delle emozioni negative portate in terapia da questi pazienti, meno attenzione è stata data invece alle emozioni positive; un cambiamento terapeutico importante è avvenuto con l’approccio di Marsha Linehan e la sua Terapia Dialettico-Comportamentale (Linehan, M. M., 1995) dove, per i pazienti con difficoltà nella regolazione delle emozioni e con condotte autolesive, vengono prese in considerazione le emozioni positive e il loro sviluppo in terapia.

: DIALECTICAL BEHAVIOUR THERAPY (DBT)

In tal senso, rispetto alle terapie fino ad oggi condotte,  per poter rispondere al meglio alle esigenze di tali pazienti, l’innovazione attuale, derivante anche dalla teoria della psicologia positiva, sta nel fatto che il lavoro terapeutico può anche essere volto ad ampliare e costruire un linguaggio emotivo positivo comune tra paziente e terapeuta che sia in grado di ridurre gli effetti delle emozioni negative e aiuti a recuperare e sviluppare strategie utili per tollerare le emozioni negative che sono alla base dei comportamenti autolesionistici e degli stati di malessere generale del paziente.

: PSICOLOGIA POSITIVA

Se coltivate nel tempo, le emozioni positive (Fredrickson, 2001) possono costruire una protezione che consente alle persone di affrontare meglio gli eventi avversi futuri. Guidate da emozioni positive le persone formulano un repertorio più ampio di soluzioni ai problemi. L’esperienza di emozioni positive è legata a probabilità più alte di godere di buona salute e di adattarsi a situazioni differenti, anche problematiche, sia in senso psicologico che fisico.

I sentimenti di dolore, di vuoto, di ansia, il senso di confusione, definiti dai pazienti come esperienze affettive soggettive spiacevoli, che sono alla base delle condotte autolesioniste, possono essere alleviati e anche dissipati condividendoli con gli altri, intimi, familiari, amici o professionisti della salute mentale.

Quando stati soggettivi mal definiti, sia positivi che negativi, emergono, sono riconosciuti dal clinico e denominati in modo congiunto con il paziente, si trasformano in emozioni e diventano padroneggiabili. In psicoterapia, il lavoro sullo sviluppo delle emozioni positive è mirato a migliorare le relazioni con gli altri e a formulare strategie di pianificazione di attività di vita desiderabili che tamponino l’influenza delle emozioni negative e delle condotte disregolate da esse innescate; per far sì che questa strategia di lavoro funzioni e dia modo di sfruttare pienamente i suoi benefici, è importante avere instaurato col paziente una buona alleanza terapeutica e aver accolto tutti gli eventi e stati d’animo riportati dal paziente stesso.

 L’accesso alle emozioni positive aiuta ad attuare una “ristrutturazione cognitiva” dell’evento che ha portato il paziente a compiere atti autolesivi. Il paziente così ha la possibilità di vivere l’evento come meno pericoloso e fonte di minor stress e attivazione fisiologica.

Nello studio citato, lo sviluppo delle emozioni positive nella psicoterapia di pazienti autolesionisti li ha aiutati ad affrontare le avversità, e ha contribuito alla promozione del loro benessere fisico e psichico.

Integrare nella psicoterapia delle condotte autolesive la promozione delle emozioni positive appare quindi una strategia potenzialmente fruttuosa (Morris, C., Simpson, J., Sampson, M., Beesley, F., 2013).

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