L’amore relazionale (parte II)

Dunque, come sviluppare la coscienza? Le “buone” relazioni interumane presentano fattori relazionali precisi. Fin dalla nascita, la relazione con gli altri, con l’Altro, deve soddisfare il bisogno del bambino (che sarà presente in qualsiasi età) di “base sicura” , una persona che ci dia intimità psichica e senso di appartenenza, che riconosca la nostra unicità, bontà e bellezza.

Queste sono esigenze relazionali dei piccoli. Se non trovano risposta a questi bisogni, provano forte stress, dolore psichico e squilibrio fisiologico: che sono traumi duraturi, contro i quali la psiche mobilita gravi meccanismi di difesa, come la scissione. Il trauma, crescendo, viene dimenticato. Non solo: diventano inconsce parti importantissime di sé, come la capacità di godere di una buona autostima; di amare e di ricevere amore.

Prima di parlarvi della relazione dei bambini con i più grandi di loro –può essere sia traumatico, che esperienza d’ amore anche un bambino dell’asilo con pochi anni di più – voglio raccontarvi una fiaba.

Come “Il Gigante”, “L’usignolo e la rosa” , soprattutto questa: “il Principe felice” non è una fiaba che racconterei a un bambino tanto piccolo. Però è una storia di amore, tanto intenso, da essere commovente.

Dei tre racconti l’ autore è Oscar Wilde, che, mente è considerato uno dei maggiori scrittori inglesi, in Italia è noto soprattutto per il Ritratto di Dorian Grey. Non è molto noto.

Questi tre racconti, e specialmente il Principe Felice, parlano d’amore.

Oscar Wilde doveva essere interessato all’amore, tanto che fu incarcerato per due anni a causa dell’amore: per un altro uomo.

Il Principe Felice comincia con una storia di amore personale: una (un) Rondine si è innamorato di una canna di fiume. La trovava graziosissima, con le sue movenze danzanti, tanto che quando, con i primi freddi –siamo in un paese del Nord d’Europa, lo stormo decide d’involarsi facendo ritorno nel caldo Egitto, Rondine le chiese di sposarlo e partire con lui. Vezzosamente, lei rifiutò.

Deluso e irritato, Rondine concluse che la Canna era una creatura egoista che non valeva la pena di desiderare- e volò verso la città.

Nel centro della piazza più centrale, in alto, c’era il Principe della città, che li aveva da poco abbandonati, ed era commemorato con una bellissima statua sorridente: i suoi occhi erano di puro zaffiro, e il pomello della sua spada era di rubino. Tutto il suo corpo era ricoperto di lamine d’oro. Il Principe sorrise sempre per tutto il corso della sua vita: a corte c’erano solo sfarzo, divertimenti, corteggiamenti e scherzi, in cui lui aveva sempre il ruolo del vincitore.

Rondine pensava ancora alla sua bella certo che fosse una creatura che non sapeva amare, persino quando lui aveva rimandato il suo viaggio i Egitto, per amor suo! Partirò domattina, si disse Rondine. E stanotte dove mi accomodo? Decise di accovacciarsi ai piedi del Principe. Mentre stava per addormentarsi, una grossa goccia gli bagnò il capo. Che postaccio, pensò Rondine. Non ci si può riparare nemmeno sotto una statua!. Quando cadde il secondo, poi il terzo gocciolone, Rondine alzò la testa e vide…che il Principe Felice stava piangendo.

Per tutta la vita non mi sono mai accorto che il mio popolo era povero, soffriva, aveva bisogno del mio aiuto e li ho abbandonati nella miseria. Adesso ho capito quanto poco li ho amati, mentre loro idolatravano me. Ma ora non posso fare più nulla per loro… Rondine, cara Rondine, ti prego: vedi dietro quella finestrella, una donna che stava ricamando un abito per il ballo di domani delle Dame alla mia corte? Ha fame, ed è così stanca che è caduta addormentata. Dietro di lei, buttato sul letto, c’è un bambino malato. Guarda come è accaldato, avrebbe bisogno di arance e di medicine…ti prego Rondine, porta alla madre il pomello della spada, è fatto di rubino e la salverà dalla miseria. Ti prego, Rondine.

Rondine obbedì, e lasciò scivolare il rubino accanto alla mano della donna addormentata. Poi fece battere le ali sul volto arrossato del bambino, e sentì dire nel sonno dal piccolo: “che fresco! Come sto bene! Certo sto cominciando a guarire!

Rondine tornò dal Principe, che aveva visto due ragazzini intirizziti che si tenevano abbracciati tentando di non morire per il gelo. Non erano i soli bambini vestiti di stracci e una guardia cercava di cacciarli via. Rondine, ti prego, “, disse il principe. Va da quei ragazzini e regala loro i miei occhi. Tutti i bambino che sono ora per la strada troveranno un rifugio con i zaffiri.

No, questo non posso farlo, disse Rondine, che ormai amava il Principe per la sua generosità. Ti prego, Rondine, aiutami, ripeté il Principe. La Rondine cominciava già a sentire piuttosto freddo. I compagni del suo stormo erano partiti da tempo, “avranno già raggiunto l’Egitto e saranno lì a godersi il caldo. “ Eppure, sentendo ormai lo stesso amore incondizionato che il Principe provava, Rondine portò gli zaffiri ai bambini.

Poi fu la volta delle lamine d’oro: esausto e intirizzito, Rondine le portò una ad una al popolo del Principe Felice, che era così diventato prospero e gioioso.

Rondine cadde morto ai piedi del Principe. Al mattino passò di lì uno dei personaggi che comandavano in città e disse: “dobbiamo scrivere un cartello che vieta agli uccelli di morire nella pubblica piazza!” Poi, visto com’era malconcia la statua, di cui era rimasto solo i piombo sformato, ordinò di rimuoverla e portarla alla fornace. Poco lontano . fu lasciato cadere Rondine su un mucchio di paglia.

Il cuore del Principe però non si fondeva, e fu buttato accanto all’uccello. Erano indistruttibili, perché avevano conquistato , fra tutti gli amori, quello più importante: l’amore incondizionato

Il grande Signore del Cielo incaricò due Angeli di portargli le cose di maggior valore che avessero trovato nella città. Bene, disse il Signore. Rondine e il Principe canteranno meravigliosamente per me.

Dopo questo breve racconto, passiamo a parlare dell’importantissima relazione tra gli esseri umani. In essa, l’amore incondizionato ha un importantissimo ruolo.

Ring the bells that still can ring

Forget your perfect offering

There is a crack in everything

That’s how the light gets in.

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UNA FERITA NELLA PSICHE DI OGNUNO

Le quattro righe più sopra, di una canzone famosissima di Leonard Cohen ci insegna ad accettare e accogliere le debolezze, la fragilità e i limiti delle persone che incontriamo. There is a crack in everything – ma le forme di vera malvagità non rientrano in questa metafora della frattura, da cui entra la luce. Lo specifico qui, perché chi è portatore di certe fragilità (e vedremo in seguito perché lo è) talvolta trasforma il proprio dolore in sarcasmo, sadismo, sfruttamento dell’altro; e in una visione cinica quanto disperata del mondo. Quelli in cui si opera questa trasformazione, dal dolore e dalla fragilità percepite grazie alla propria sensibilità o alle proprie ferite, per meccanismi inconsci si lasciano possedere da una rabbia distruttiva, da un’alienazione dagli altri. In parole molto semplici, diventano cattivi.

Si è deformato in loro l’istinto aggressivo, che ereditiamo, e che, come istinto, è programmato perché l’aggressività, o l’affermatività eccessiva in noi, cessino, una volta raggiunta la meta. L’aggressività in certe persone non cessa una volta raggiunta la meta. Non è più un’aggressività regolata dall’istinto. E’ il caso delle persone che colpiscono l’altro fino a ferirlo gravemente o a ucciderlo. L’istinto aggressivo, invece, è socialmente utile, e lo ereditiamo per stabilire la nostra posizione in un gruppo, configurato con gerarchie; o per difendere il proprio territorio.

La luce nasce da una frattura accettata, compresa, sofferta, che ci rende sensibili e compassionevoli verso gli altri che soffrono o hanno bisogni insoddisfatti.

Perché parlo di “amore relazionale”? Perché l’amore non è fatto di sentimenti romantici che mi riempiono l’animo e che voglio riversare sull’altro, né l’aspettarsi che l’altro soddisfi tuti i nostri bisogni perché “ci amiamo”.

Intendo piuttosto un amore che è fatto di vedere, ascoltare lo stato d’animo e la vita interiore dell’altro, per soddisfare i bisogni di lui/lei, e per aiutarlo nella evoluzione verso la pienezza che l’essere umano può raggiungere. L’amore vero è relazione, e la relazione è tante cose, ma soprattutto esserci, essere presenti per l’altro.

E questa relazione inizia alla nascita. Veramente hanno scoperto che il nascituro è già sensibile ai vissuti e alle emozioni della madre quando sta dentro al suo grembo. E’ già in relazione!

La madre, alla nascita, oltre a quando ha il bambino ancora dentro di sé potrebbe non essere in relazione con il piccolo essere. Non dargli/le nel suo cuore tutta l’importanza che merita; anche se può essere adeguata nelle cure del corpicino. Ma il corpo non è separabile dal cuore.

Già da Spitz, negli anni ’50 dello scorso secolo, sappiamo che i bambini orfani, accuditi con buone cure fisiche, ma da nurse diverse, dopo solo qualche mese erano presi da ciò che venne chiamato “marasma”, una letargia che portava alla morte,. Perché?

Perché non avevano una relazione stabile con chi li accudiva, non aveva un cuore in cui abitare, non ritrovava con continuità il cuore dello stesso caregiver. Il bambino, anche se di pochi mesi, e dalla nascita, decifra l’individualità dell’altro da mille segni, non solo visivamente. Il modo di tenerlo, i ritmi, il calore, il profumo, il sudore. La voce, e i sentimenti che ne trapelano. Per cominciare, occorre che la madre, o i genitori, abbiano un buon rapporto con la corporeità. Il bambino è un essere incarnato in un corpo, con una mente che si sviluppa piano piano: ma nel corpo è compreso il cuore, il sentimento. E’ una piccola creatura piena di amore, il cui amore deve essere nutrito.

Questa è la base della relazione umana. Quando ne ho parlato a neomamme, talvolta la reazione è stata di allarme. Non sapevano che si dovesse essere così, e che il piccolo le percepisse con tanta accuratezza. Cioè nessuno aveva insegnato loro l’importanza della relazione.

Un bambino che non ha vissuto una vera relazione con la madre (o il caregiver) subisce questa “assenza” come un forte trauma, così forte da boccare lo sviluppo della personalità, indebolirne le capacità della coscienza, impedirne la regolazione delle emozioni.

Questo trauma, profondissimo, rimane inconscio e può rendere distruttivo quell’istinto, utile e adattivo come tutti gli istinti, che è l’aggressività.

Un bambino che nasce pieno d’amore, attraverso le vicissitudini delle relazioni, o carenze di relazione, arriva a smettere di amare, e diventa anzi distruttivo. Dirigendo l’aggressività verso gli altri, ma anche verso se stesso, come avviene in diverse sindromi, e nelle malattie psicosomatiche.

La ferita, la frattura, il trauma di cui stiamo parlando, è un muro tra essere umano ed essere umano, una divisione, ed è comune nel senso che tutti lo abbiamo sperimentato in qualche misura, a causa del modo in cui si considerano e si allevano i bambini nel mondo occidentale o occidentalizzato.1 Le persone che hanno dei limiti nella propria capacità di relazionarsi, hanno una tale visione del bambino, come pure, in generale, dell’essere umano.

ATTACCAMENTO SICURO E INSICURO

“La fede è la convinzione radicata che ci sia una mano a cui aggrapparsi”

Pema Chodron

La base sicura. Vi è una prima relazione di attaccamento, che il bambino vive con la madre nel primo anno di vita.

Anche l’attaccamento è un istinto, con cui tutti nasciamo. In questo primo anno di vita se la madre, o il caregiver, “fornisce conforto, sicurezza, protezione, stabilità, vicinanza fisica e sintonia psichica, egli/ella interiorizza il senso di avere una base sicura.

E’ stato lo psicoanalista inglese John Bowlby a centrare i suoi studi su quanto avviene tre madre e bambino, e a formare una teoria che unifica psicoanalisi e biologia.

Quando la relazione di attaccamento è sicura possiamo sentire un basilare amore per noi stessi. Bowlby (siamo nel 1952) si chiese che cosa precisamente colpisca tanto i bambini nella perdita della relazione con la madre. Il legame di attaccamento consiste di affetti fortissimi: è amore, un grandissimo amore, da cui può nascere l’angoscia di separazione, il lutto, la difesa, la collera, il dolore.

Il legame di attaccamento, inoltre ha la funzione di regolare le emozioni e l’altra parte delle emozioni, cioè i parametri vitali e i diversi sistemi metabolici dei piccoli, che provano tristezza e depressione quando la madre viene a mancare, mentre provano ansia e ira quando c’è il rischio che lei si allontani.

Quanto c’è di rivoluzionario nel lavoro di Bowlby è che la teoria dell’attaccamento va controcorrente rispetto a come si è sempre trattati i bambini, specialmente nei paesi anglosassoni. Negare i bisogni di attaccamento nel bambino persino nel primo anno di vita, pensando di indurlo così a essere “indipendente”, quando è ancora ben lontano dall’avere le strutture neurali e psichiche per fare a meno dalla sua “base sicura”.

E quando mai possiamo prescindere dalla base sicura? Il bisogno di attaccamento e il vita, anche quando si è interiorizzata una base sicura. Riconoscere questo bisogno/diritto a se stessi e agli altri implica accettare che in ogni età della vita abbiamo un certo grado di dipendenza.

La cultura occidentale, contro la quale Bowlby si adirava con veemenza, tende a negare questo bisogno e a frustrarlo. Questo per Bowlby è uno dei grandi pregiudizi patogeni della nostra società. Pregiudizio che serve ad alcuni genitori per mascherare la propria difficoltà a dare calore al figlio. Sono genitori prigionieri di un modello coercitivo, per il quale si dovrebbe essere “forti”, vincenti e senza bisogni. Quindi forzano il figlio, ignorando di stare inducendo traumi e fragilità nel bambino, anziché autonomia.

Siamo creature che hanno un profondo bisogno le une delle altre; in noi è insita una certa vulnerabilità, o meglio, una non-onnipotenza narcisistica. Quanto è negata questa realtà umana!

Negare questi bisogni contribuisce a generare l’onnipotenza narcisistica, la quale viene scambiata per forza, è un’attitudine che dà potere; mentre il naturale bisogno di relazioni umane vien scambiato per debolezza!

Bowlby ha avuto il merito di rompere uno dei tabù della nostra società. Affermando che la dipendenza è è un aspetto essenziale della natura umana, che persiste per tutta la vita, e che bisogna smetterla di considerarla come un tratto puerile da superare.

Egli detestava il modo in cui i bambini sono deprivati dell’amore e dell’affetto, in nome dell’intenzione di “non viziarli.”

In ogni età il dolore fisico e psichico, unito alla percezione della propria vulnerabilità, è un potente attivatore del bisogno di attaccamento. Per Bowlby il matrimonio sarebbe una forma adulta dell’attaccamento. Rappresenta la base sicura da cui si può partire, magari per il lavoro o per esplorare il mondo, sapendo di potevi ritornare.

L’individuo dallo sviluppo sano ( che è consentito da buone relazioni di attaccamento nell’età evolutiva) è autonomo, ma anche capace di vicinanza emotiva; è in grado di riconoscere in se e negli alti il bisogno di ricevere, e tende a soddisfarlo.2

1) Da “Un Essere Unico”, Pag.37

2) Da: “Un Essere Unico, dal trauma all’aggressività”, di Fiorella Pasini, pag.136 e segg.

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